Negli anni Trenta, prima dell’esplosione della Seconda guerra mondiale, Miluzza (Cara)è poco più di una bambina, candida e sensuale. Nel paesino del profondo Sud in cui la giovane vive, molti sguardi morbosi si concentrano su di lei. A salvarla da uno scandalo annunciato non sarà la madre (Sandrelli), generosa e passionale, né il padre, uomo semplice e impotente, bensì un soldatino fuggiasco (Bova). Poche volte, nel cinema italiano, si era scesi qualitativamente così in basso. La sfilza di ovvietà oscilla tra il tragico e il ridicolo: chi riuscisse a resistere per quasi due ore a questo penoso polpettone meridional-sentimentale, preferirà forse ridere per non piangere. Non si arriva neanche al kitsch: è solo uno stracotto per pubblico televisivo in cerca di stereotipi “popolar-chic” in salsa un po’ più osé. Il bel libro omonimo di Domenico Rea ha vinto invece, nel 1993, il Premio Strega. Fonte Trama